Giuseppe Pisauro, 5 ottobre 2010
Premessa
La definizione del sistema di finanziamento della sanità è chiaramente un momento fondamentale nel percorso di attuazione della legge delega (n. 42/2009) in materia di federalismo fiscale. Questa nota si propone di illustrare (e interpretare) lo schema di decreto legislativo per la “determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario” reso pubblico nelle scorse settimane e su cui si basa il testo appena approvato dal Governo.
Volendo riassumere la valutazione che daremo, diciamo che in buona sostanza lo schema di decreto legislativo ripropone i contenuti del Patto per la salute 2010-2012, sottoscritto con l’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009. La novità più rilevante è che laddove nel Patto si avvia “ai fini di un’autovalutazione regionale” un sistema di monitoraggio dei fattori di spesa volto a confrontare lo stato dei servizi sanitari nelle singole regioni, nello schema di decreto si prevede che i risultati di quel sistema di monitoraggio portino all’individuazione di un gruppo di “regioni migliori”. Su questo gruppo si basa la costruzione di quelli che vengono definiti “costi standard” e che in realtà sono semplicemente livelli di spesa pro-capite per tre sotto-settori della sanità (assistenza collettiva, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera). Per di più, la novità è solo apparente, in quanto come vedremo, l’individuazione delle regioni migliori e la costruzione dei costi standard non ha alcun effetto pratico sulla determinazione del livello della spesa sanitaria né sul suo riparto tra le regioni. Lo schema di decreto non riesce a mettere in comunicazione la programmazione di bilancio, per cui il livello del finanziamento totale dipende dalle compatibilità di finanza pubblica, e l’analisi comparativa di quantità e qualità dei servizi erogati. Ad essere onesti, sarebbe stato sorprendente se ci fosse riuscito. Se si accetta il carattere nazionale del servizio sanitario (per evitare equivoci, chi scrive non ha dubbi in proposito), ne deriva che, come minimo, i livelli di finanziamento pro-capite debbano essere uniformi. In realtà, dovrebbe derivarne anche la tendenziale uniformità dei livelli dei servizi finanziati con quelle risorse (ferma restando la possibilità di risorse locali aggiuntive). Sappiamo che non è così, a causa dell’inefficienza e della non appropriatezza (per usare il linguaggio del decreto) che caratterizza alcuni sistemi sanitari regionali. Tutti d’accordo che lì occorra intervenire. Implicito in buona parte del dibattito è il pensiero che lo si possa fare riducendo il livello di finanziamento delle regioni “peggiori”. Dovrebbe, invece, essere evidente che una tale minaccia può servire a disciplinare i comportamenti finanziari (in altre parole, ad evitare i disavanzi) ma difficilmente potrà funzionare come espediente disciplinare per indurre l’uso efficiente di risorse date. Per questo fine servono, semmai, sanzioni per gli amministratori e poteri sostitutivi incisivi attribuiti al governo centrale. Nello schema di decreto l’equivoco permane e lo si risolve il modo puramente retorico.
Il documento completo in allegato
Il riparto del fabbisogno sanitario nazionale
Il finanziamento complessivo della sanità è un dato esogeno: “determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria” (Decreto, art. 2, c. 1). Si parte da un livello programmato del finanziamento complessivo “che costituisce il valore di risorse destinabile al finanziamento del Servizio sanitario nazionale che il Paese è nella condizione di assicurare (…) per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza” (Decreto, premesse). Il finanziamento della sanità non è quindi determinato come somma del costo delle varie prestazioni (i livelli essenziali di assistenza) ma deriva da una decisione politica presa a monte, nel corso del processo di formazione del bilancio pubblico. Si tratta dell’approccio già seguito nei vari Patti per la salute, sottoscritti da Governo e Regioni (l’ultimo è quello del 3 dicembre 2009, relativo al triennio 2010-2012).
Esogena è anche la ripartizione del finanziamento complessivo in tre macrolivelli di assistenza: 5% per l’assistenza sanitaria collettiva, 51% per l’assistenza distrettuale, 44% per l’assistenza ospedaliera (Decreto, art. 3, c. 3). Di nuovo, si tratta della ripartizione già contenuta nel Patto per la salute.
Lo schema di decreto propone la seguente procedura. Si individua un gruppo di tre regioni di riferimento. Si calcolano i costi standard a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza come media della spesa pro-capite di quelle regioni. Il costo standard così determinato viene applicato a ciascuna delle 21 regioni e province autonome. Il fine non è pervenire per somma a un fabbisogno standard nazionale. Lo schema di decreto definisce come fabbisogno standard nazionale il finanziamento complessivo programmato che, come abbiamo visto, è prefissato a monte di tutta la procedura. Il calcolo dei costi standard serve per “individuare il valore percentuale di ogni singola regione e provincia autonoma rispetto al valore nazionale quale fabbisogno sanitario standard regionale da applicare al fabbisogno sanitario standard nazionale” (Decreto, premesse). Insomma, il calcolo dei costi standard non serve per definire un livello standard della spesa ma solo un criterio di riparto del finanziamento totale programmato.
Ma procediamo con ordine. Esaminiamo più nel dettaglio la procedura. Le tre regioni di riferimento (benchmark), “tra cui obbligatoriamente la prima” (Decreto, art. 3, c. 4, lett. a), sono scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque migliori regioni, indicate dal Ministero della salute di concerto con il Ministero dell’economia, che hanno garantito l’erogazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza) in condizioni di equilibrio economico. Si considerano in equilibrio economico le regioni “che garantiscono l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite dalla legislazione vigente a livello nazionale” (ibidem).
Ma in base a quali criteri verrà scelta la rosa delle cinque migliori regioni? “In base a criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza definiti con DPCM, previa intesa della Conferenza Stato-Regioni, sentita la Struttura tecnica di supporto della Conferenza (…), sulla base degli indicatori di cui agli allegati (…) dell’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009” (ibidem).
Si deve presumere che l’insieme dei criteri di scelta delle “regioni migliori” siano quelli indicati nell’Intesa Stato-Regioni del 2009 (Patto per la salute 2010-2012), dove si avvia un “sistema di monitoraggio dei fattori di spesa”, nel cui ambito si ritrova (Intesa, art. 2, c. 3) la stessa definizione di “regioni in equilibrio economico” che compare nello schema di decreto: “le regioni che garantiscano l’erogazione dei LEA con adeguati standard di appropriatezza, di efficacia e di efficienza” (ibidem; nello schema di decreto è scomparsa la “efficacia”, ma tant’è). La lettura dell’Intesa 2009 è di aiuto per capire cosa si debba intendere per indicatori di efficienza e di appropriatezza (Intesa, art. 2, c. 2): indicatori del rispetto della programmazione nazionale (dati di finanziamento e spesa pro-capite per macro-livelli di assistenza), indicatori di spesa e costo medi più dettagliati (spesa pro-capite per l’assistenza di base, per la farmaceutica, costo medio ricoveri per acuti, ricoveri in lungodegenza, ecc.), una serie di standard fisici (tasso di ospedalizzazione, costo del personale, numerosità del personale, presenza piccoli ospedali) e indicatori di appropriatezza organizzativa (degenza media pre-operatoria, percentuale di ricoveri con DRG chirurgico sul totale dei ricoveri, ecc.). Nell’insieme si tratta di poco meno di cinquanta indicatori. Come da questi si arriverà a costruire una graduatoria che consenta di individuare le cinque “regioni migliori”, tra le quali poi scegliere le tre regioni di riferimento, tra cui obbligatoriamente la prima delle cinque, è ancora da stabilire. L’Intesa del 2009 affida il monitoraggio a una struttura tecnica di supporto della Conferenza Stato-Regioni (struttura richiamata, come abbiamo visto, nello schema di decreto, dove si prevede fornisca un parere sui criteri di scelta delle regioni migliori). Insomma, tutta la procedura ripropone quanto stabilito nell’Intesa del 2009. Forse la vera novità è che lo schema di decreto prevede che il nuovo sistema debba partire nel 2013. Il monitoraggio dovrà quindi funzionare a regime entro il 2012. Tuttavia, come si vedrà, la scelta delle tre regioni è irrilevante ai fini dei risultati dell’esercizio di riparto.
I costi standard sono computati a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza e sono definiti come “media pro-capite pesata del costo registrato dalle regioni benchmark” (art. 3, c. 4, lett. b). Per semplificare l’analisi, consideriamo un solo macrolivello di assistenza: poiché una quota fissa di una grandezza data è una grandezza data, ciò che diremo per un macrolivello vale anche per gli altri due.
In simboli, sia G il livello prefissato del finanziamento nazionale per uno dei tre macrolivelli; ovviamente G è pari alla somma del finanziamento che affluisce alle ventuno regioni e province autonome:
(1) .
Per la singola regione benchmark (j = 1, 2, 3), definiamo la spesa pro-capite pesata come:
(2) ,
dove è la spesa (coincidente con il finanziamento, poiché la regione è in equilibrio di bilancio) della regione j nel macrolivello considerato e
è la popolazione pesata con la struttura per età:
(3) ,
dove è la popolazione della regione j nella classe di età c e
è il peso attribuito alla classe di età c (naturalmente se
, si ha semplicemente
e la (2) rappresenta un pro-capite secco). Nel decreto legislativo si afferma che i pesi per classi di età sono quelli “considerati ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento” (Decreto, art. 3, c. 4, lett. c). Trascurando qualche dubbio logico-sintattico, è chiaro che il sistema di pesi dovrà avere qualcosa a che fare con quello che già oggi si utilizza per determinare il riparto del finanziamento della sanità.
Attualmente il riparto avviene sulla base di un criterio misto popolazione assoluta/popolazione pesata. In particolare, considerando i tre macrolivelli: per l’assistenza collettiva (5% del finanziamento totale) si usa la popolazione assoluta; per l’assistenza distrettuale (51% del totale), si usa la popolazione pesata solo per la componente assistenza specialistica (che vale 13 punti su 51), mentre per la farmaceutica (altri 13 punti) il riparto avviene con l’applicazione di tetti di spesa e per le altre componenti (medicina generale e altri servizi, i restanti 25 punti) sulla base della popolazione assoluta; per l’assistenza ospedaliera (44% del totale) si usa la popolazione pesata per ripartire metà del finanziamento, per l’altra metà si considera la popolazione assoluta. In sintesi, attualmente si utilizza la popolazione pesata per ripartire il 35% del finanziamento, la popolazione assoluta per il 52% del finanziamento e tetti di spesa per il 13% del finanziamento (assistenza farmaceutica). Vale la pena ricordare, infine, che per l’assistenza specialistica e per l’ospedaliera si utilizzano sistemi di pesi diversi. La tabella 1 riporta nel dettaglio gli attuali criteri di riparto. La tabella 2 i pesi applicati alla struttura per età della popolazione.
Tab. 1 – Criteri di riparto del fabbisogno sanitario 2009
Macro-livelli |
Sotto-livelli |
Criterio di riparto |
Assistenza sanitaria collettiva (5%) |
Prevenzione collettiva (5%) |
Popolazione assistita (quota capitaria secca) |
Assistenza distrettuale (51%) |
Medicina generale (6,9%) |
Popolazione assistita (quota capitaria secca) |
Farmaceutica (13%) |
Tetto di spesa |
|
Specialistica (13%) |
Popolazione pesata per età in funzione dei consumi |
|
Totale altri servizi (18,1%) |
Popolazione assistita (quota capitaria secca) |
|
Assistenza ospedaliera (44 %) |
Assist. ospedaliera (22 %) |
Popolazione pesata per età secondo i dati SDO (nuovi pesi) |
Assist. ospedaliera (22%) |
Popolazione assistita (quota capitaria secca) |
Tab. 2 - Pesi utilizzati per la struttura per età della popolazione
(riparto fabbisogno sanitario 2009)
Livello di assistenza |
Classi di età |
|||||||
0-1 |
1-4 |
5-14 |
15-24 |
25-44 |
45-64 |
65-74 |
> 75 |
|
Ospedaliera |
2,539 |
0,376 |
0,254 |
0,392 |
0,567 |
0,945 |
2,105 |
3,025 |
Specialistica |
0,242 |
0,204 |
0,169 |
0,228 |
0,363 |
0,573 |
1 |
0,897 |
Una nota al margine: avventurandosi in congetture, si può immaginare che una volta scelti i pesi, le regioni benchmark potrebbero essere individuate tra quelle con la spesa pro-capite (pesata) più bassa. Non è detto, tuttavia, che esse siano anche in equilibrio finanziario, in quanto il riparto del finanziamento attuale (rispetto al quale si giudicherà l’esistenza o meno dell’equilibrio) avviene solo per un terzo sulla base della popolazione pesata.
Il costo standard è pari alla media della (2) per le tre regioni benchmark, ovvero:
(4) .
Insomma il costo standard è semplicemente la spesa pro-capite pesata per il complesso delle tre regioni benchmark.
Il costo standard viene poi applicato alla popolazione pesata delle altre regioni e province autonome. Per la singola regione
, si avrà quindi un fabbisogno standard pari a:
(5)
Il fabbisogno standard nazionale sarà:
(6) ,
come è ovvio che sia: il costo standard applicato alla popolazione pesata nazionale. Naturalmente nulla garantisce che F coincida con il finanziamento prefissato G. Per inciso, nello schema di decreto si attribuisce al livello prefissato del finanziamento G la denominazione di fabbisogno sanitario nazionale standard (Decreto, art. 2, c. 1). Sarebbe opportuno utilizzare un’altra denominazione per non generare confusione.
La quota della regione i sul fabbisogno standard nazionale che diventa criterio di riparto del finanziamento totale prefissato G sarà (utilizzando la (5) e la (6)):
(7) .
Il finanziamento per la regione i si ottiene, infine, applicando la sua quota al finanziamento totale G, vale a dire:
(8) .
A conti fatti, la quota di ciascuna regione è pari semplicemente alla sua quota della popolazione pesata. La scelta delle regioni benchmark e la definizione del costo standard non giocano alcun ruolo.
Conclusioni
Sorprendente? Forse a prima vista. Ma se si riflette sulla logica dell’esercizio diventa quasi ovvio per due motivi. Innanzi tutto, lo schema di decreto propone la costruzione di un criterio di riparto, mentre il livello della spesa è determinato altrove, sulla base del vincolo di finanza pubblica. Va detto che si tratta di un approccio del tutto ragionevole. Irragionevole sarebbe immaginare che il livello del finanziamento della sanità possa essere indipendente dagli equilibri di bilancio e nascere come somma delle esigenze, per quanto valutate sulla base di una qualche nozione di costo standard. In secondo luogo, si mantiene il carattere nazionale del sistema, per cui si impone che il finanziamento pro-capite (al di là dei pesi) sia uniforme. Qui entrano in ballo giudizi di valore, per cui le opinioni possono essere diverse (importante esplicitarle).
Una strada alternativa sarebbe quella di fissare il livello del finanziamento regionale per le regioni diverse da quelle benchmark sulla base della spesa pro-capite pesata delle regioni benchmark. Il finanziamento nazionale della sanità sarebbe allora pari a F. Ipotizzando che la spesa pro-capite del benchmark sia inferiore alla media, il finanziamento totale sarebbe inferiore a quello attuale (F<G). Per inciso, se ipotizziamo che regione “migliore” significa quella con il costo più basso, la definizione dei costi standard come media dei costi delle regioni benchmark implicherebbe, sempre assumendo che il finanziamento totale sia F, un aumento del finanziamento della regione “migliore” (la media dei costi delle tre migliori regioni è chiaramente superiore al costo della regione migliore; ancora di più se il benchmark fosse costituito dalla prima, quarta e quinta regione). Insomma la spesa sanitaria complessiva sarebbe più bassa, ma potrebbe aumentare la spesa della regione più efficiente.
Inoltre non è detto che “migliore” significhi “meno costoso”: nello schema di decreto per la scelta del benchmark si parla di appropriatezza ed efficienza non di minor costo. Nozioni che possono non coincidere in quanto il sistema di riparto attuale e quello prefigurato dallo schema di decreto hanno natura finanziaria: non entrano nella definizione di standard fisici dei servizi forniti. Il monitoraggio previsto nell’Intesa del 2009 è un primo passo – ancora molto incerto - nella direzione di individuare quegli standard fisici. Questa strada sembra l’unica possibile da seguire. Da questo punto di vista, il giudizio sullo schema di decreto, che di fatto non aggiunge nulla all’Intesa, se non un po’ di confusione, non è negativo. Lo schema di decreto è una onesta fotografia dell’esistente. Certo, si vorrebbe vedere, almeno a grandi linee, il disegno di una transizione verso un sistema che alla fine riesca a tenere insieme compatibilità finanziarie e livello delle prestazioni. Ma, come si è detto nella Premessa, c’è da essere scettici sulla possibilità che ci si arrivi utilizzando come leva i criteri di riparto del finanziamento.
Tutto ciò, comunque vada, richiederà una transizione non breve. Nell’immediato, l’aspetto che assume la principale rilevanza è la definizione dei pesi per le varie classi di età e le varie categorie di assistenza sanitaria. Non è affatto un esercizio banale. Le conseguenze distributive, rispetto alla situazione attuale, possono essere molto importanti. Lo testimonia la storia del criterio di riparto della spesa sanitaria: dalla popolazione assoluta alla popolazione pesata all’attuale criterio misto. La discussione in passato è stata dominata solo da considerazioni distributive di natura geo-politica (il Sud avvantaggiato dalla popolazione non pesata, ecc.), risolte di volta in volta per raggiungere un accordo valido nel breve periodo. Sarebbe bene fondare il criterio di riparto su analisi econometriche della distribuzione della spesa sanitaria per classi di età, prevedendo se è il caso, una fase transitoria di modifica dell’attuale criterio di riparto.
Un’ultima notazione: il modo in cui si sta affrontando la materia del finanziamento della sanità è indipendente dalla legge 42/2009 e, a ben vedere, anche dalla riforma del Titolo V del 2001. Le questioni potevano essere affrontate nello stesso modo anche nel quadro normativo di dieci anni fa. Non a caso, quella di oggi è una discussione che ricorda quella sul decreto-legge 56 del 2000. A testimonianza di come su talune materie un approccio pragmatico sarebbe preferibile alla ricerca di riforme generali che alla fine rischiano di aggiungere solo molta retorica alla discussione.
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