Tav: Accise, inquinamento e analisi costi-benefici

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Febbraio 2019

 

La relazione della Commissione Ponti (o meglio della maggioranza di questa) sull’analisi costi-benefici della TAV ha generato animate discussioni, con aspetti tecnici di una certa complessità; uno dei punti principali è costituito dal peso della posta (negativa) di accise e pedaggi per 4.532 milioni. Poiché il VAN risulta negativo per 6.995 milioni (nell’ipotesi che la Commissione ritiene più realistica), se ne deduce che quasi due terzi del risultato è spiegato dalla voce accise e pedaggi. Ora è noto che nei manuali e nelle guidelines (come quelle EU) di ACB si afferma che le imposte non vanno considerate, ma esistono anche, e sono citate in una appendice aggiunta dalla Commissione, delle affermazioni in senso contrario.
E’ probabile che chi sostiene che pedaggi (ai gestori delle autostrade) e accise (cioè le imposte sugli oli minerali) debbano essere considerati, dato che lo scopo della TAV è proprio quello di spostare il traffico di merci e passeggeri dall’autostrada alla ferrovia, faccia una certa confusione tra analisi finanziaria e analisi costi-benefici di un’opera pubblica. E che non sia chiaro cosa si debba valutare nella  ACB. Si consideri ad esempio l’articolo di Roberto Perotti (Repubblica 17 febbraio) dove si sostiene il punto di vista della Commissione, almeno per quanto riguarda le accise. Afferma Perotti: “Quando un trasportatore passa dalla strada alla TAV risparmia dieci euro di accise e questo fa parte del suo beneficio privato…per arrivare al beneficio totale per la collettività bisogna sottrarre la perdita di dieci euro di introiti dello stato, e quindi di risorse per pensioni e stipendi pubblici”.
Ora i dieci euro di accise, che rimangono nelle tasche del trasportatore e non vanno nelle casse delle Stato, o i dieci euro di pedaggi che non vanno nelle tasche di Autostrade, non interessano l’ACB. Quello che interessa sono i minori morti e feriti, nonché il minore stress di chi si sposta sulla ferrovia; valutazioni non facili che riguardano il valore economico della vita umana (tema complicato) e i minori costi della sanità pubblica (tema questo più facile). Interessa anche il minor tempo di percorrenza dei tragitti, e quindi il valore economico del tempo. Interessa anche il minore inquinamento e quindi gli effetti sulla salute (in particolare nelle zone interessate) e sull’effetto serra (che riguarda tutta la terra). Proprio su quest’ultimo punto l’inclusione delle accise nell’ACB sulla TAV mostra un paradosso. Come è stato notato, in ipotesi più ottimistiche di spostamento dall’autostrada alla ferrovia, il VAN risulta ancora più negativo proprio perché scende il consumo di benzina e gasolio e si pagano meno pedaggi.       
    Lasciamo al suo (probabilmente triste) destino la TAV, e allarghiamo il discorso al tema delle politiche ambientali. Vediamo innanzitutto il gettito (in miliardi) del prelievo ambientale e la sua suddivisione nel 2017, secondo la classificazione Eurostat:
Energia 45,7 mld (comprende le imposte sui prodotti energetici utilizzati sia per carburazione che combustione, cioè benzina, gasolio, metano)
Trasporto 11 mld (comprende le imposte legate alla proprietà ed all'utilizzo dei veicoli),
Inquinamento e Risorse 0,7 mld (comprende le imposte sulle emissioni atmosferiche o sui reflui, sulla gestione rifiuti, sul rumore e sulle risorse naturali).
Il prelievo totale è quindi pari a 57,4 mld, di cui l’Energia costituisce l’80%. A sua volta l’imposta sugli oli minerali ammonta a 26,1 mld, costituendo ben il 45,5% del prelievo ambientale totale.
    Si tratta dunque di cifre rilevanti; l’Italia è uno dei paesi a più alta fiscalità ambientale (nel settore energia al secondo posto in Europa come quota sul Pil, dati 2014) e l’imposta sugli oli minerali costituisce la voce maggiore. Ora molte delle politiche ambientali, dai divieti alla circolazione delle auto e moto, agli aumenti del bollo auto sulla base delle emissioni, agli incentivi alla rottamazione dei mezzi inquinanti e acquisto di mezzi elettrici o ibridi, hanno esattamente lo scopo di ridurre il consumo di benzina e gasolio. Dovremmo allora, nella valutazione di queste politiche, tener conto delle minori entrate da accise, dato che lo scopo di queste politiche è proprio quello di ridurre i consumi di oli minerali?
    Qui il paradosso si mostra in tutta la sua evidenza. In realtà dovremmo muoverci verso l’introduzione di una vera carbon tax, riprendendo quanto era stato fatto dal governo Prodi una ventina di anni fa (art. 8 della L. 23 dicembre 1998, n. 448). Il nostro sistema di tassazione ambientale infatti è un’approssimazione molto imperfetta di un sistema di carbon tax calibrato in modo da pesare di più sulle emissioni più inquinanti.

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