Il ragionamento sintetizzato da Vincenzo Visco in questo svelto e acuto volume ruota intorno al valore civile di un ordinato sistema fiscale, e a come esso rappresenti le fondamenta di uno Stato moderno ed equo che affronta, provando a temperarle, le diseguaglianze. Per dimostrare questo ventaglio il libro offre una ricostruzione storica di come il sistema di tassazione abbia accompagnato l’evolversi della società e di come la sua efficienza (o inefficienza) abbia corrisposto a precise indicazioni sociali di cui la politica si è fatta interprete. Tutto ciò è funzionale a chiarire il titolo di tale discorso: La guerra delle tasse. Una guerra, di lunga campata e ancora in corso, che ha modificato il patto sociale ed è condotta (e quasi vinta) dalle fasce più capienti della società. L’autore colloca la trasformazione del processo di tassazione avvenuta nell’ultimo secolo all’interno di una dinamica globale: attraverso questa dilatazione prospettica è più comprensibile come, e quando, si siano formate diverse attitudini nella tassazione del lavoro e della rendita. In molti casi si tratta di passaggi noti che accelerano all’altezza degli anni 80 del XX secolo e descrivono la trasformazione sociale dei Paesi occidentali e la trasfusione dell’ideologia neoliberista nella pratica politica. In quegli anni iniziano a essere gradualmente esclusi dal sistema di estrazione delle risorse i redditi da capitale: le imposte sulle società si riducono rispetto a quelle pagate dai lavoratori. In tal modo la tassazione sul capitale e quella sul lavoro cominciarono a marciare su binari diversi descrivendo il cambiamento dei rapporti di forza tra i due gruppi sociali. Tale rottura di logiche ed equilibri che erano stati rafforzati nel secondo Dopoguerra è figlia del tentativo di rimettere ordine nel sistema capitalista scosso dai due shock gemelli dell’inizio degli anni 70. In seguito a quelle due fratture il modello dei miracoli economici occidentali s’impaluda nella stagflazione, che mette in discussione le basi teoriche del keynesismo: la legittimazione culturale del neoliberismo prende le mosse da quel dibattito e diventa presto politicamente egemone. La rivoluzione silenziosa che sboccerà con il trionfo elettorale di Ronald Reagan - il quale non farà altro che mettere in pratica le idee spregiudicate di uno fra i più fortunati Chicago boys, Arthur Laffer - dilagherà poi con un’irresistibile fortuna in tutto l’Occidente, tanto che ancora oggi alligna come un dogma nel repertorio delle forze di centrodestra senza che esse neanche siano in grado di spiegarne le conseguenze o evidenziarne i disastri sperimentati negli Stati Uniti nell’ultimo decennio del conflitto bipolare. L’esito di questo cambiamento di paradigma culturale giunse gradualmente in Italia, dove l’onda lunga del riformismo ammarò con ritardo rispetto a quanto accadde nel resto delle economie occidentali. Per soprammercato, le riforme fiscali nell’Italia degli anni 70 - parzialmente contraddittorie rispetto al dettato costituzionale - entrarono in crisi nello spazio di meno di due decenni e cioè con la crisi del 1992: fu sotto la spinta di quell’emergenza che il governo Amato varò una manovra che conteneva misure fiscali micidiali non solo per i contribuenti. Negli anni successivi l’autore di questo libro è stato protagonista di un tentativo di riordino del sistema fiscale (qui esaurientemente sintetizzato nelle premesse e nelle ambizioni), senza che però le idee che innervavano quella stagione siano poi state sviluppate coerentemente e collegate alla crescita economica e, soprattutto, alla necessità di alimentare e irrobustire l’infrastruttura sociale. È un fatto che il tentativo di mettere a sistema le norme che regolano la fiscalità italiana sia stato negli ultimi anni crivellato dalle frammentarie improvvisazioni andate in scena con governi che si sono cimentati nella ricerca di sempre nuove eccezioni. Una serie di interventi spot all’imposta sui redditi ha favorito un assetto caotico, per cui diverse categorie di reddito sono trattate diversamente, mentre a parità di reddito i contribuenti subiscono prelievi diversi. Lo stato complessivo della fiscalità italiana è unanimemente ritenuto inefficiente e iniquo. Il dibattito sul suo riordino non è mai arrivato a un esito operativo, e appare nel suo complesso progressivo solo per i redditi più bassi, proporzionale per quelli medi, e regressivo per i più ricchi. Soprattutto, però, le sue principali caratteristiche continuano a essere l’evasione di massa, e la drammatica inefficienza dal punto di vista dei suoi effetti sull’economia. Il trattamento dei redditi da capitale è difforme e irrazionale, come lo è l’imposizione patrimoniale e così quella dei redditi d’impresa. In questo scenario sbriciolato e desolante, anche i più recenti tentativi di riordino legati all’attuazione del Pnrr sono parsi sfuocati, e anche le migliori intenzioni sono abortite in un cicaleccio che ha avuto come unico tangibile risultato il ritorno a parole d’ordine quali la flat tax: il ritorno alle ricette fallite di Laffler. Una guerra in corso da trent’anni, dunque, quella descritta da Visco, combattuta su più frontiere nazionali con declinazioni e tempi diversi, ma nella quale si individuano con chiarezza i sommersi e i salvati.
La guerra delle tasse Vincenzo Visco con Giovanna Faggionato Laterza, pagg. 120, € 16.
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