I sistemi fiscali in vigore nei Paesi sviluppati si basano ancora su un “disegno” comune che risale al secondo dopoguerra. A quei tempi i redditi di lavoro (dipendente e autonomo) rappresentavano il 65-70% del reddito nazionale, e quindi sistemi tributari che facevano affidamento soprattutto sui contributi sociali e le imposte sul reddito apparivano adeguati, ed erano in grado di finanziare senza troppe difficoltà la spesa pubblica e, soprattutto in Europa, i sistemi di welfare. Oggi la situazione è rasticamente cambiata: i redditi da lavoro sono scesi dovunque sotto il 50% (in Italia 47%), e quindi i sistemi fiscali si trovano in difficoltà crescenti con un peso eccessivo sui redditi da lavoro rispetto agli altri: in Italia, per esempio il rapporto tra redditi di lavoro e altri redditi risulta di 3 a 1 rispetto ad una distribuzione del reddito di 47 a 53. La sfida che i sistemi fiscali dovranno affrontare nel prossimo futuro è quindi quella di come riequilibrare la situazione esistente spostando il carico dai redditi di lavoro verso altre fonti di prelievo. Ciò è riconosciuto e sottolineato anche dalla Commissione Europea.
Le alternative non sono molte: aumentare il prelievo sui redditi di capitale e i profitti delle società per azioni, introdurre imposte ecologiche, far ricorso a imposte patrimoniali, o ad imposte a larga base imponibile e bassa aliquota come era l’Irap che oggi si vuole abolire, e che fu introdotta proprio per fiscalizzare i contributi sanitari e ridurre il costo del lavoro. Vista in questa prospettiva, la scelta economicamente più logica e corretta di utilizzare le risorse disponibili per la riduzione delle imposte appare ovvia: ridurre imposte e contributi che gravano sul fattore lavoro. In concreto ciò potrebbe voler dire, riduzione dell’Irpef ed eliminazione del contributo Cuaf che oggi, dopo l’introduzione del nuovo assegno per le famiglie esteso a tutti i contribuenti e non solo ai lavoratori dipendenti, non ha più ragione di esistere.
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