Secondo i modelli teorici e le verifiche empiriche la decisione di evadere le imposte per un contribuente razionale dipende da due fattori: il livello delle aliquote, e l’entità delle pene (pecuniarie o di altro genere) cui può andare incontro (rischio). E’ in questo contesto che va valutato il recente decreto delegato in materia di riscossione, di cui i giornali hanno dato notizia, che può essere esaminato in relazione ai suoi possibili (probabili) effetti. Esso non interviene dal lato delle aliquote, che rimangono invariate, ma incide fortemente sul complesso delle penalità possibili, e quindi sui rischi collegati al mancato pagamento delle imposte. In particolare, i contribuenti con debiti nei confronti del fisco in relazione a passati accertamenti, per somme fino a 120 mila euro possono limitarsi a comunicare all’Agenzia delle Entrate di non essere in grado di pagare ed optare per una rateizzazione del debito fiscale fino a 10 anni. Al di sopra di questa cifra, per ottenere la rateizzazione sarà necessario fornire qualche elemento di informazione circa la mancanza di liquidità del contribuente stesso. Si trascura completamente il fatto che ci si può trovare (o apparire) a corto di liquidità ed essere invece pienamente solvibili.
In questo modo l’effetto di deterrenza dell’intero meccanismo dell’accertamento viene di fatto vanificato. I contribuenti, non solo non vengono sottoposti ad esecuzione, ma potranno anche valutare l’entità del tasso di interesse implicito nella rateazione, confrontarlo con quello di mercato e decidere se finanziarsi a spese dello Stato è più conveniente rispetto al ricorso alle banche, potranno pagare le prime rate, e poi sospendere i versamenti, ma soprattutto non avranno più nessun deterrente ad evadere le imposte. Né va dimenticata la cancellazione automatica delle cartelle dopo 5 anni dalla loro emissione, senza verificare in modo credibile che esse siano effettivamente inesigibili. Il provvedimento ha un’evidente valenza elettorale nei confronti delle categorie di riferimento dell’attuale maggioranza, e si aggiunge ad una serie di misure, tutte nella stessa direzione, varate negli ultimi mesi ed anni. Si approfondisce così una frattura sempre più netta e inaccettabile tra titolari di una attività indipendente da un lato, e lavoratori dipendenti e pensionati dall’altro, frattura che rischia di portare ad una vera e propria rivolta di fronte a trattamenti profondamente iniqui, sperequati e discriminatori. Non va dimenticato, infatti, che il sistema fiscale è l’espressione sintetica più efficace della qualità di una democrazia. Prima o poi, sindacati ed opposizioni usciranno dal loro attuale torpore in materia, e questa tendenza a strumentalizzare il fisco a fini di consenso politico potrà tradursi in un boomerang per l’attuale governo.
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