Una politica alternativa è già possibile

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Marzo 2017

La situazione dell’economia italiana non appare brillante. Negli ultimi mesi lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, e la performance dell’Italia continua ad occupare l’ultimo posto tra i principali Paesi europei; la Commissione europea ci chiede una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro; a fine anno, o forse anche prima, verrà meno il Qe della Bce, e quindi i tassi di interesse saliranno con effetti preoccupanti sui nostri conti; con la manovra del prossimo anno dovremo inoltre compensare le clausole di salvaguardia di poco meno di 20 miliardi di euro.

In questa situazione sembra che il governo sia impegnato nella elaborazione di un ambizioso programma di riduzione fiscale per il prossimo anno, con quali risorse e in attuazione di quale strategia non è dato di sapere. Volendo ragionare sulla base dei dati conosciuti, sembrerebbe che l’obiettivo primario del governo dovrebbe essere quello di mettere in sicurezza il debito pubblico italiano, con interventi in grado di ridurre lo spread e di conseguenza anche il disavanzo e il debito. Ciò può avvenire sia con manovre correttive che con interventi strutturali adeguati. In un precedente articolo pubblicato sul Sole del 2 febbraio suggerivo che per l’anno in corso serietà vorrebbe che venissero revocate alcune misure, sia dal lato della spesa che per quanto riguarda riduzioni di imposta, non necessarie decise con l’ultima legge di stabilità. In alternativa proponevo un intervento di razionalizzazione delle aliquote dell’Iva in grado di ridurre fortemente l’arbitraggio che i contribuenti effettuano sfruttando la differenza delle aliquote e che vale nel complesso oltre 10 miliardi. Un semplice riavvicinamento delle aliquote attuali (invece della soluzione drastica di una aliquota unica) potrebbe comunque produrre un gettito aggiuntivo sufficiente a rispettare le richieste della Commissione.

Della manovra correttiva non si sente più parlare, mentre si parla di una riduzione del cuneo fiscale attraverso una fiscalizzazione dei contributi sociali ripartita tra lavoratore e datore di lavoro. Dato il costo elevato, si pensa di limitare la fiscalizzazione ai soli nuovi assunti. Una riduzione destrutturale del cuneo fiscale sarebbe una utile misura di riequilibrio del nostro sistema di prelievo in quanto renderebbe più competitive le nostre esportazioni riducendo il costo del lavoro con effetti positivi a medio termine sull’occupazione. Ma non è certo questa misura quella più urgente nella situazione attuale. Inoltre se essa venisse limitata ai nuovi assunti si tradurrebbe in un semplice incentivo all’occupazione, non diverso da quelli che sono stati in vigore negli ultimi anni, con il rischio di ridurre la produttività del sistema il cui aumento viene invece da tutti considerato, almeno a parole, una priorità.

In sostanza il governo Gentiloni sembra muoversi in continuità col governo Renzi: la riduzione delle “tasse” va perseguita comunque, anche a costo di aumentare il disavanzo pubblico, e senza considerare che gli effetti moltiplicativi di queste riduzioni sono inferiori all’unità e quindi, nella situazione attuale di stagnazione, del tutto inutili. Si continua con una politica dell’offerta in una situazione di drammatica carenza di domanda. Dal lato della spesa si pensa di rilanciare la spending review , il che sarebbe positivo se si volesse capire che, salvo le spese per consumi intermedi, che invece di ridursi stanno aumentando, e poche altre spese per trasferimenti (alle imprese), la revisione della spesa in Italia richiederebbe l’elaborazione di veri e propri piani industriali settore per settore, e quindi riforme strutturali del funzionamento di ogni singolo organismo del settore pubblico. Ciò richiederebbe tempo e studio, mentre l’approccio che è stato seguito è quello di “riformare” nel complesso la Pa secondo un approccio già sperimentato in passato e sempre fallito, e di operare tagli più o meno giustificati. Se l’obiettivo principale della politica economica nella fase attuale deve essere quello di rilanciare lo sviluppo, non si tratta di un approccio corretto, così come non lo è stato quello seguito da Renzi.

Una politica alternativa era ed è possibile. Al governo Renzi si offrivano due diverse opzioni: o concentrarsi inizialmente sul risanamento, utilizzando le risorse disponibili soprattutto per il riassorbimento delle clausole di salvaguardia, e ottenendo così il pareggio del bilancio strutturale e la riduzione del debito, con una crescita che sarebbe stata identica a quella effettivamente realizzata, o viceversa praticare una politica più espansiva, riducendo più gradualmente le clausole e utilizzando le risorse residue, comprese quelle derivanti dalla flessibilità europea, per spese di investimento ad alto moltiplicatore. In questo modo, è stato dimostrato (v. rapporto Nens sulla finanza pubblica), che la crescita sarebbe potuta essere il doppio di quella che è stata effettivamente nell’ultimo triennio, che il disavanzo nel 2016 sarebbe stato dell’1,6% anziché del 2,4%, e che il debito pubblico sarebbe risultato di 2,5 punti inferiore.

Sarebbe quindi necessaria una diversa strategia: l’obiettivo prioritario a breve termine dovrebbe essere la messa in sicurezza dei conti, mentre tutte le risorse disponibili dovrebbero essere indirizzate a un massiccio programma di spese per investimenti (almeno mezzo punto di Pil l’anno per tre anni), spese che negli ultimi 10 anni sono state ridotte di oltre 10 miliardi. Al tempo stesso dovrebbe essere finalmente affrontato il problema dell’evasione fiscale di massa nel nostro Paese che il governo Renzi, al di là di assertive e autoconsolatorie enunciazioni di principio, ha in realtà ignorato. Anche in questo caso le proposte esistono e la loro efficacia non è in discussione.

Infine questa strategia andrebbe portata a livello europeo. Entro l’anno in corso si dovrebbe decidere se inserire stabilmente il fiscal compact nei trattati europei. A tal fine è necessaria l’unanimità dei consensi. Il governo italiano ha quindi l’opportunità e la possibilità di chiedere (ed ottenere) una modifica del fiscal compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento anche nazionali concordate con e controllate dalla Commissione al fine di evitare abusi e usi impropri. Solo in questo modo l’Italia e l’Europa potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso le loro popolazioni.

 

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