La battuta d’arresto del processo verso l’approvazione del ddl Calderoli deve essere l’occasione per un ripensamento profondo.
La lettera di dimissioni di Amato, Bassanini, Gallo e Pajno dal Comitato per la definizione dei Lep (Clep) solleva, tra le altre, due questioni. La prima è che la definizione dei Lep non può avvenire in ordine sparso. E’ necessaria una valutazione complessiva, per tutte le materie, che assicuri la compatibilità con l’equilibrio del bilancio pubblico ed essa non può che essere affidata al Parlamento, come peraltro recita la Costituzione. La seconda questione riguarda l’opportunità di delimitare il novero delle materie devolvibili, indicando già nel ddl un insieme di contenuti non negoziabili, quali – come è ovvio – le norme generali sull’istruzione e sulla tutela della salute, le grandi infrastrutture nazionali di trasporto, le reti di telecomunicazione e le infrastrutture nazionali di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica e del gas. A queste va aggiunta, naturalmente, la tutela della salute.
Ciò, tuttavia, non è sufficiente. La difesa dei Lep non è solo una questione statica, che riguarda l’oggi, ma è soprattutto una questione dinamica, che riguarda il futuro. E’ essenziale, diversamente da quanto prevedono le bozze di intesa già sottoscritte con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, stabilire che l’eventuale eccedenza di gettito delle compartecipazioni attribuite alle Regioni, rispetto ai fabbisogni di spesa, ritorni allo Stato (come già avviene oggi per il finanziamento della Sanità). In caso contrario, la tenuta dei Lep a livello nazionale varrebbe solo per il primo anno e poi ci si troverà davanti all’alternativa di fare più disavanzo o di contrarre il finanziamento per le altre regioni. In termini tecnici, occorre stabilire che le aliquote di compartecipazione siano rideterminate ogni anno in modo da garantire il finanziamento dei fabbisogni di spesa e null’altro.
Riguardo alle materie oggetto di devoluzione, non è sufficiente escludere quelle che hanno una ovvia dimensione nazionale (se non sovra-nazionale). E’ necessario stabilire che le competenze devolute debbano effettivamente riguardare specificità delle Regioni che le richiedono e non, come è oggi nelle bozze di intesa, che si possano richiedere competenze in tutte le materie senza dover avanzare alcuna giustificazione. In ogni caso occorre, per evitare un’inaccettabile frammentazione delle politiche pubbliche, che lo Stato definisca innanzi tutto i principi fondamentali per le materie a competenza legislativa concorrente, come previsto dalla Costituzione.
Le linee guida della proposta legislativa intorno alla quale sta lavorando il ministro Calderoli, erano state già affrontate e discusse dal Nens nel convegno L'Autonomia differenziata nella Repubblica "una e indivisibile" , organizzato il 6 febbraio scorso. Gli interventi di esperti, amministratori pubblici e politici sono disponibili sul canale Youtube del nostro centro studi.
L’autonomia differenziata, si è rilevato in quella sede, non apre solo una questione di squilibri territoriali e di equità. Le richieste delle tre regioni, tuttora prive di giustificazione, sono talmente numerose e pervasive da produrre una frammentazione inaccettabile delle politiche pubbliche.
L’enfasi sui Lep (livelli essenziali di prestazioni) è una foglia di fico che non risolverebbe le questioni in ballo. Essi riguarderebbero un numero molto limitato di materie e la loro definizione non sarebbe risolutiva per i livelli di spesa come dimostra l’esperienza della sanità dove esistono da tempo.
Serve una legge quadro che affronti la sostanza della questione, interpretando l’art. 116 della Costituzione per circoscrivere l’ambito delle materie trasferibili e chiarire la natura delle motivazioni accettabili a favore della differenziazione. Parallelamente, occorre completare il disegno dell’art. 117, con la determinazione da parte dello Stato dei principi fondamentali per le singole materie.
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