Il “bonus” agli autonomi è giusto Ma senza il vincolo agli Studi di Settore

Gennaio 2009

Il Governo, nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del cosiddetto Decreto Anticrisi, ha dato parere favorevole ad un emendamento della maggioranza all’art 2 che prevede la possibilità di estendere il bonus famiglia ai redditi da lavoro autonomo (l’emendamento che introduce il comma 5-bis all’art. 2 prevede, al fine del bonus famiglia, “una tendenziale assimilazione tra le posizioni dei titolari di reddito di lavoro dipendente o assimilati e i titolari di reddito di lavoro autonomo che si siano adeguati agli studi di settore”).
 
Si tratta di una decisione condivisibile. Infatti in via di principio lavoratori dipendenti, autonomi e piccoli imprenditori non dovrebbero essere discriminati in relazione alle prestazioni di welfare che riguardano diritti di cittadinanza. Tuttavia è  sbagliato limitare l’accesso al bonus famiglia soltanto ai soggetti congrui agli studi di settore. Questo approccio è il sintomo di una confusione logica molto pericolosa in quanto è coerente con l’interpretazione degli studi di settore come “minimum tax”.  Lo ripetiamo per l’ennesima volta: gli studi di settore non sono una minimum tax, sono uno strumento di accertamento! I contribuenti devono dichiarare il reddito effettivo nel qual caso essi  sono perfettamente in regola con il fisco anche se non arrivano al livello di congruità. I limiti introdotti derivano dalla consapevolezza che non pochi contribuenti percettori di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente e pensione evadono le imposte. E’ vero, ma la soluzione corretta non è uno scambio “meno welfare più libertà di evasione”, bensì l’eguaglianza di tutti i cittadini sia rispetto alle prestazioni del welfare che nei confronti del fisco (lotta all’evasione!). 
 

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