Il Governo, nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione del cosiddetto Decreto Anticrisi, ha dato parere favorevole ad un emendamento della maggioranza all’art 2 che prevede la possibilità di estendere il bonus famiglia ai redditi da lavoro autonomo (l’emendamento che introduce il comma 5-bis all’art. 2 prevede, al fine del bonus famiglia, “una tendenziale assimilazione tra le posizioni dei titolari di reddito di lavoro dipendente o assimilati e i titolari di reddito di lavoro autonomo che si siano adeguati agli studi di settore”).
Si tratta di una decisione condivisibile. Infatti in via di principio lavoratori dipendenti, autonomi e piccoli imprenditori non dovrebbero essere discriminati in relazione alle prestazioni di welfare che riguardano diritti di cittadinanza. Tuttavia è sbagliato limitare l’accesso al bonus famiglia soltanto ai soggetti congrui agli studi di settore. Questo approccio è il sintomo di una confusione logica molto pericolosa in quanto è coerente con l’interpretazione degli studi di settore come “minimum tax”. Lo ripetiamo per l’ennesima volta: gli studi di settore non sono una minimum tax, sono uno strumento di accertamento! I contribuenti devono dichiarare il reddito effettivo nel qual caso essi sono perfettamente in regola con il fisco anche se non arrivano al livello di congruità. I limiti introdotti derivano dalla consapevolezza che non pochi contribuenti percettori di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente e pensione evadono le imposte. E’ vero, ma la soluzione corretta non è uno scambio “meno welfare più libertà di evasione”, bensì l’eguaglianza di tutti i cittadini sia rispetto alle prestazioni del welfare che nei confronti del fisco (lotta all’evasione!).
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