Note sulla regolamentazione dei mercati finanziari

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Dicembre 2017

 

Scuola Superiore della Magistratura-Milano 3 marzo 2016

Il sistema economico in cui viviamo, un’economia di mercato capitalistica, presenta alcune caratteristiche evidenti. Da un lato esso esprime una impressionante capacità di far crescere e sviluppare le economie, dall’altro risulta intrinsecamente instabile. Da quando esiste, e cioè negli ultimi due secoli, questo sistema ha aumentato la produzione mondiale di 80 volte, mentre il PIL pro capite è cresciuto di 12 volte in presenza di un aumento da 1 a 7 miliardi di individui della popolazione mondiale , (v. Ciocca 2015). Al tempo stesso, però il sistema tende a produrre instabilità “reale” (recessioni); crisi inflazionistiche e deflazionistiche; crisi finanziarie, bancarie, borsistiche, ecc..

In particolare l’instabità finanziaria ha prodotto tracolli molto gravi i cui costi in termini di perdite patrimoniali e interventi di sostegno sono stati ogni volta di diversi punti di PIL, e ogni volta la ripresa è stata lenta e faticosa. La instabilità finanziaria deriva da ondate speculative connesse alla possibilità di rapidi arricchimenti che provocano l’impiego di ingenti e crescenti risorse finanziarie in gran parte prese a prestito (v. Ciocca 2015). Prima o poi, tuttavia, le aspettative cambiano e il processo si inverte in modo cumulativo, con i creditori che cercano di rientrare, i debitori che svendono le attività acquisite per ripagare i prestiti ottenuti, mentre i prezzi crollano, il panico si diffonde, e così via. Questa situazione ha progressivamente portato alla consapevolezza della necessità di un intervento regolatorio in grado di prevenire o limitare i danni creati dalla libera attività del mercato in campo bancario e finanziario.

Il dibattito ebbe inizio a metà dell’’800 e portò alla creazione delle banche centrali con il compito di fungere da prestatore di ultima istanza per le banche commerciali che a causa della crisi venivano a trovarsi in condizioni di illiquidità, con l’obiettivo di evitare il panico (la corsa agli sportelli, il crollo dei prezzi degli assets in seguito alla necessità di vendere comunque per “rientrare”) e i fallimenti a catena di banche e imprese.Successivamente, dopo la grande crisi del 1929 e la depressione che ne seguì si pose mano al sistema di regolamentazione moderno essendo ormai acquisito che nel caso del sistema finanziario, il  mercato, lasciato a se stesso, non sembrava in grado di funzionare in modo efficiente e d equilibrato. Si decise così di estendere il potere delle Banche Centrali, e creare nuove autorità di regolamentazione.

In altre parole, si prese atto del fatto che nel mercato finanziario si verificano numerosi casi di “fallimento del mercato”. I primi riguardano la stabilità monetaria e le crisi bancarie. Perché permanga la fiducia nella moneta di un dato Paese,occorre assicurarne il valore nel tempo e quindi è necessario evitare processi inflazionistici e deflazionistici. Alle Banche Centrali viene quindi demandato il compito di controllare la quantità di moneta in circolazione, sia legale che fiduciaria (cioè creata dalle banche). Sempre la Banca Centrale deve evitare crisi bancarie assicurando la liquidità e la solvibilità degli intermediari finanziari dettando regole di comportamento opportune. Si tratta di obiettivi che riguardano la stabilità dell’economia nel suo complesso (a livello macroeconomico).

Altri fallimenti del mercato riguardano invece le relazioni con e tra singoli operatori, e qui si tratta di intervenire in processi a livello microeconomico.E’ questo per esempio il caso delle asimmetrie informative che si verificano quando alcuni agenti economici dispongono di maggiori e più complete informazioni riguardo a particolari attività di mercato, rispetto ad altri che potrebbero quindi rimanere danneggiati. In questi casi il compito del regolatore è assicurare la necessaria trasparenza. Analogamente un intervento regolatorio è necessario anche per tutelare il contraente debole che pur in presenza delle informazioni necessarie non è in grado di utilizzarle correttamente per mancanza di conoscenze adeguate o di forza contrattuale.

Infine anche nel sistema finanziario è necessario assicurare un adeguato grado di concorrenza, e cioè contrastare gli abusi di posizione dominante, i cartelli, ecc.. Tuttavia, va tenuto presente che per il sistema bancario, la questione della concorrenza si pone in modo diverso che per gli altri settori, dal momento che la regolamentazione prudenziale di per sé già limita la concorrenza tra le singole banche (che altrimenti potrebbe portare ad eccessi speculativi), e l’estensione del settore.

Lo sviluppo del sistema regolatorio prende quindi le mosse dalla necessità di garantire la stabilità delle banche e su di esse concentra inizialmente la vigilanza mediante interventi strutturali, molto incisivi e invasivi: questi hanno riguardato  tradizionalmente la limitazione all’attività bancaria mediante l’autorizzazione a costituire nuove banche o ad aprire nuovi sportelli; le limitazioni all’operatività in alcuni settori, distinguendo tra credito a breve e a lungo termine, e quindi anche tra provvista a breve e lungo in modo che vi fosse corrispondenza tra disponibilità di fondi e loro erogazione; specializzando gli intermediari, distinguendo banche d’affari e banche commerciali; credito ipotecario alle famiglie, e credito industriale alle imprese. In questo modo si segmentava il mercato e inevitabilmente si riduceva la concorrenza. Ciò era giustificato dalla convinzione e dalla esperienza che mostrava che la concorrenza in campo bancario tendeva ad assumere sistematicamente connotati distruttivi, e che quindi fosse opportuno affidare ad una autorità di vigilanza indipendente il compito di valutare in modo sostanzialmente discrezionale il mix ottimale tra concorrenza e stabilità, mediante interventi di tipo amministrativo che valutassero la necessità della presenza o della crescita di una nuova entità bancaria, dotata di poteri di controllo, ispezione e repressione.

Questo sistema di regolazione ha funzionato egregiamente per alcuni decenni, fino agli anni ’80 del secoli scorso, periodo in cui non si sono verificate crisi bancarie e finanziarie di rilievo, ma ha cominciato ad essere posto in discussione in quanto si sosteneva che esso limitasse eccessivamente l’attività bancaria, riducendo la concorrenza ben al di là di quanto fosse necessario, e soprattutto non era funzionale rispetto alla sempre più accentuata liberalizzazione e internazionalizzazione delle economie. Si passò così dalla vigilanza strutturale a quella prudenziale che oggi è quella prevalente, riducendo quindi la discrezionalità dei regolatori, liberalizzando i mercati, e introducendo “regole” piuttosto che divieti.

Il nuovo sistema ha accompagnato la crescita dell’economia globalizzata e ha fornito i finanziamenti per la nuova imponente ondata di innovazioni tecnologiche che ha caratterizzato gli ultimi decenni, e quindi è risultata in qualche modo funzionale alle nuove esigenze del sistema economico. Non è un caso, tuttavia, che insieme al processo di liberalizzazione sono ricomparse l’instabilità finanziaria e le crisi finanziarie che sembravano un ricordo del passato. Si possono ricordare le principali che si sono manifestate con una certa regolare sistematicità: crisi di borsa nel 1987 e nel 2001 (epicentro negli Stati Uniti), crisi messicana (1994), crisi asiatica (1997), crisi russa (1998), crisi LTCM (1998), crisi argentina (2001), e infine la devastante crisi dei mutui subprime del 2007-08, potenzialmente più dirompente di quella del 1929, ma gestita con maggiore consapevolezza. Le liberalizzazioni degli ultimi anni hanno quindi confermato l’intrinseca instabilità dell’attuale sistema economico.

Il modello di vigilanza emerso dalla crisi del 1929 si concentrava sul sistema bancario, mentre la protezione degli investitori in titoli era demandata alle regole del diritto societario e della contabilità aziendale. Tuttavia già allora negli Stati Uniti venne istituita una autonoma autorità di controllo per i mercati finanziari, la SEC (Securities Exchange Commission). Del resto, lo sviluppo delle banche di investimento, delle borse e del mercato dei titoli era già allora molto maggiore negli USA che negli altri Paesi. Tuttavia nel corso del tempo tutti gli altri Paesi, di pari passo con lo sviluppo dei mercati finanziari, l’aumento della ricchezza delle famiglie, e la diffusione degli investimenti privati in azioni, obbligazioni, ecc., hanno creato un apposito regolatore. In Italia la Consob è stata istituita, con molto ritardo, nel 1974. Un ulteriore organismo è dedicato, soprattutto in Europa al controllo delle compagnie di assicurazione.

Si viene così a creare nei fatti un sistema di vigilanza per soggetti: alla Banca Centrale, le banche commerciali; alle Consob i mercati finanziari, allo specifico ente di controllo le imprese di assicurazione. Inoltre in tutti gli ordinamenti è previsto un ulteriore organismo deputato alla tutela della concorrenza.

Il sistema di vigilanza tuttavia, si evolve ulteriormente e progressivamente con la liberalizzazione e l’innovazione finanziaria; nuovi prodotti vengono creati e nuovi intermediari si affermano, così come cadono i confini tra banche commerciali e banche di investimento e si afferma dovunque il modello della banca universale. Anche la vigilanza deve così adeguarsi ai nuovi cambiamenti, e quindi si evolve verso un nuovo modello di vigilanza per finalità in cui la vigilanza viene distinta in base agli obiettivi perseguiti: la stabilità dei mercati e dei singoli intermediari, e la trasparenza a tutela degli investitori che garantisce il rispetto delle regole di condotta da parte degli intermediari. In base a questo approccio quindi, sarebbero necessarie due autorità di vigilanza ciascuna specializzata e responsabile del proprio settore di intervento, più un organismo di tutela della concorrenza.

Questo modello è quello verso cui si è diretta sia pure in modo incompleto e contradittorio la normativa nel nostro Paese. Oggi la vigilanza in Italia, oltre al ruolo di guida politica del Cicr e del Ministero dell’Economia, è affidata alla Banca d’Italia per la stabilità e alla Consob per la trasparenza. Permane formalmente in vita l’Isvap, la cui autonomia è però venuta di fatto meno in quanto il suo presidente è oggi il direttore generale della Banca d’Italia. Per i fondi pensione è prevista un’apposita Commissione, la Covip. La distribuzione delle competenze in materia di vigilanza rimane tuttavia incompleta per quanto riguarda la trasparenza di alcuni prodotti sia bancari che assicurativi che è tuttora sottratta alla Consob.

Con la crisi del 2007-08 vi è stato un nuovo impulso alla riforma dei sistemi di vigilanza dal momento che sono emerse lacune, omissioni e tolleranze eccessive. In verità gran parte della innovazione finanziaria degli ultimi decenni era avvenuta al di fuori di ogni contesto di regolamentazione, mentre le pressioni dei gruppi di interesse avevano determinato in molti casi un situazione di “cattura” del regolatore da parte dei controllati.

In Europa il tentativo inglese di ricorrere ad un unico regolatore sia per la stabilità che per la trasprenza (la Financial Services Authority) non ha avuto successo, a causa soprattutto della conflittualità dei due obiettivi, e si è tornati a un sistema per finalità che da un punto di vista logico appare come quello più razionale.

Nell’Unione Europea e nell’Eurozona sono state introdotte speciali attività e organismi di vigilanza che si aggiungono e sovrappongono a quelle nazionali in modo abbastanza confuso, distinti in base ai soggetti vigilati, e con funzioni prevalentemente regolatorie.

Guardando più da vicino al nostro Paese, si può ricordare che in Italia sui mercati finanziari vigilano due autorità secondo il modello della vigilanza per finalità: la Banca d’Italia e la Consob. Dopo l’affermazione e la diffusione del modello della banca universale, tutti i soggetti che operano sul mercato sono sottoposti ad ambedue le autorità. E, come è noto, la legge (dlgs 58/1998) attribuisce alla Banca d’Italia la vigilanza ai fini del contenimento del rischio (globale), della stabilità patrimoniale, e della sana e prudente gestone da parte degli intermediari, mentre la Consob è demandata a controllare  la trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli intermediari. In altri termini la tutela del risparmio in Italia è perseguita a livello macro cercando di avere istituzioni solide, adeguatamente patrimonializzate e gestite, e questa è la responsabilità della Banca d’Italia, e a livello micro, vale a dire per quanto riguarda la tutela dei singoli risparmiatori, attraverso la trasparenza dei rischi e la correttezza dei comportamenti, affidata alla Consob.

I due obiettivi possono essere, e spesso sono, in conflitto (anche logico) tra loro. E proprio per questo esistono due autorità. Ai fini della stabilità delle banche e degli intermediari  finanziari è infatti irrilevante se essa è ottenuta a spese dei risparmiatori o dei clienti delle banche, mentre dal punto di vista della trasparenza e correttezza (tutela dei singoli risparmiatori), è  irrilevante se perseguendo tale tutela si determinano difficoltà o anche il fallimento dell’intermediario o della banca.

Da un punto di vista logico l’assetto appare corretto ed equilibrato, e non sembrano giustificate proposte recenti, anche autorevoli, volte a creare una nuova autorità par la tutela del risparmio. Tale autorità infatti già esiste, ed è, o dovrebbe essere, la Consob. La normativa, inoltre, è stata progressivamente integrata, migliorata e razionalizzata. Per esempio, dopo i casi dei bond argentini, e quelli Cirio, Parmalat, My Way di MPS, la L. 262/2005 ha esteso la responsabilità della Consob (trasparenza) anche alle obbligazioni bancarie, incluse quelle subordinate, fino ad allora di competenza esclusiva della Banca d’Italia, ed ai prodotti finanziario-assicurativi.

Diversamente che in altri Paesi, dopo la crisi finanziaria del 2007-08, in Italia non si sono verificate crisi bancarie e non sono stati necessari interventi pubblici di salvataggio e sostegno. Le difficoltà odierne derivano principalmente dall’impatto della gravissima recessione, in parte derivante dalle politiche di drastica austerità poste in essere, che ha provocato un crollo del PIL di 9-10 punti percentuali, mai verificatosi in passato nella storia d’Italia, il fallimento di quasi 100.000 imprese, e quindi una crescita impressionante delle sofferenze. E’ in questo contesto che va esaminata la vicenda della crisi delle quattro piccole banche sottoposte alla procedura di risoluzione; se si considera che esse rappresentavano solo l’1% dei depositi complessivi, si deve riconoscere che il sistema finanziario italiano nel suo complesso ha retto piuttosto bene alla crisi. Non si tratta di un risultato trascurabile; se pure si dovesse aggiungere qualche altro caso di crisi bancaria, essi riguarderebbero comunque istituti minori con matrice regionale. Anche la crisi del Monte dei Paschi, la cui gestione è stata a mio avviso discutibile, è stata finora tenuta sotto controllo in attesa di una possibile aggregazione. La stabilità del sistema è stata quindi  finora garantita. Paradossalmente, proprio questa maggiore solidità ha fatto sì che, non essendo stati necessari inizialmente interventi di sostegno, essi non sono possibili ora, essendo nel frattempo cambiate le regole del gioco.

Nè va dimenticato che il sistema bancario italiano nel suo complesso (ABI) si è fin dall’inizio opposto a qualsiasi intervento pubblico di sostegno per timore di ingerenze politiche. Per esempio, nel caso MPS si è cercato in tutti i modi di nascondere il fatto che la banca era fallita e che quindi andava nazionalizzata trasformando i Monti bonds in azioni, per poi risanare e riprivatizzare la banca. Si è così deciso di seguire una politica autoreferenziale, facendo affidamento su ricapitalizzazioni che alla fine sono avvenute a carico dei  clienti delle banche e di altri risparmiatori, spesso inconsapevoli. Ciò è avvenuto soprattutto ad opera delle banche minori con minori capacità di ricorso al mercato che hanno altresì manifestato una gestione del credito collusiva, clientelare, ed inefficiente, espressione di un localismo deteriore e degli interessi di gruppi ristretti che deve far riflettere perchè la funzione di queste banche nell’economia è di importanza fondamentale.

In questo modo si sono poste le premesse per sacrificare la trasparenza (risparmiatori) a beneficio della stabilità delle banche e del sistema che da sempre è considerato in Italia l’obiettivo più importante, anzi l’unico davvero rilevante.

Va anche detto che la situazione è stata resa più difficile dal fatto che il nostro Governo nell’agosto 2013 (Governo Letta) accettava una disposizione della Commissione europea relativa agli aiuti di Stato connessi a interventi di salvataggio delle banche che prevedeva che prima di ogni intervento pubblico era necessario il burden sharing e cioè la penalizzazione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati (azzeramento), nonchè dei depositi più elevati. Tale penalizzazione inoltre era prevista retroattivamente e non valida solo per il futuro. Trattandosi di materia per cui era necessaria l’unanimità, si è trattato evidentemente di un caso di scarsa lucidità e consapevolezza dei comportamenti seguiti in concreto dalle nostre banche le quali, peraltro, hanno continuato anche dopo l’agosto 2013 ad emettere obbligazioni subordinate da collocare al dettaglio, la cui rischiosità era dissimulata e il cui rendimento (4-5%) era di poco superiore a quello dei titoli pubblici. In questo modo il costo per la banca risultava molto inferiore a quello di un aumento di capitale sul mercato sia perchè si evitava l’ingresso di nuovi soci, e quindi la diluizione del capitale, sia perchè le obbligazioni subordinate, per riflettere adeguatamente il rischio effettivo avrebbero dovuto avere un rendimento del 9-10%, il doppio di quanto si riusciva a  fare accettare ai risparmiatori inconsapevoli.

Chi avrebbe dovuto vigilare su questi accadimenti e comportamenti ?  Ovviamente la Consob. E qui si apre una questione che è stata molto discussa e che riguarda il mancato inserimento nei prospetti di vendita degli scenari probabilistici relativi alle singole emissioni di obbligazioni subordinate. Per esempio nel caso dell’emissione di Banca Etruria 2013-2023 sarebbe stato possibile per il risparmiatore conoscere che acquistando il titolo avrebbe avuto il 63% di probabilità di perdere il 46% del capitale investito. E’ improbabile che la banca avrebbe trovato molti sottoscrittori una volta esplicitati i rischi reali.

Si è anche ricordato che nel 2009 la Consob aveva previsto che nella distribuzione alla clientela di prodotti finanziari illiquidi (come sono appunto anche le obbligazioni subordinate) si dovessero esplicitare gli scenari probabilistici sottostanti. E che in base a questa decisione erano stati sanzionati i dirigenti della Banca Popolare di Milano che avevano dissimulato nella vendita alla clientela del convertendo emesso nel 2009 il fatto che esso comportava una probabilità del 68% di perdere oltre il 40% del capitale.

La decisione Consob incontrò l’opposizione dell’ABI che ottenne nell’agosto del 2009 l’approvazione della propria interpretazione della comunicazione Consob del 2 marzo 2009 nella quale si sosteneva che alle obbligazioni subordinate non si dovessero applicare gli scenari di probabilità in quanto non si trattava di strumenti complessi. Sta di fatto però che l’ESMA (European Securities and markets Authority) l’autorità europea degli strumenti e dei mercati finanziari le considera invece uno strumento complesso, e queste indicazioni dovrebbero valere anche per le autorità nazionali. Comunque, poichè una interpetrazione ABI di una delibera della Consob non ha valore giuridico, fino al 2011, e cioè fino all’ultimo cambio della presidenza,la Consob continuò a richiedere l’inserimento degli scenari probabilistici nei prospetti degli emittenti.

 A proposito degli scenari probabilistici, nel corso del recente dibattito, la Consob ha sostenuto: a) che l’adozione degli scenari probabilistici fosse vietata dalla Commissione Europea; b) che lo strumento fosse inaffidabile.

Ambedue le affermazioni non corrispondono al vero. Infatti le direttive europee prevedono esplicitamente che le autorità nazionali  possano richiedere, al momento dell’approvazione del prospetto di offerta di prodotti finanziari, informazioni supplementari a quelle previste dalla normativa europea, al fine di garantire la trasparenza dell’offerta. Inoltre gli scenari probabilistici vengono adottati in Portogallo, in Gran Bretagna dove la FCA (Financial Conduct Authority) li usa ex post  (in una logica repressiva e di controllo) nel caso di vendita al dettaglio di prodotti strutturati, e anche in Italia la Consob li utilizza per le polizze finanziario-assicurative del ramo III: ne deriva che l’adozione dello strumento non è vietata.

Nè va dimenticato che in materia di derivati sono state emanate in Italia diverse sentenze di 1° e 2° grado e provvedimenti arbitrali che hanno stabilito che la mancata indicazione degli scenari probabilistici rende nullo il contratto sottostante.

Quanto alla presunta inaffidabilità degli scenari, si può solo dire che essi sono basati sul ricorso a strumenti statistico-matematici, scientificamente fondati ed inattaccabili, e  peraltro di uso sistematico da parte delle stesse banche che su di essi fondano la loro attività di trading.

In conclusione la posizione sostenuta dalla Consob nel corso della polemica appare fragile e non confermata dai fatti, mentre è evidente che con maggiore attenzione e consapevolezza la Commissione avrebbe potuto evitare o limitare di molto le perdite subite dai risparmiatori.

Ciò che sembra essere accaduto di fatto è che in presenza di gravi difficoltà del sistema bancario, e della necessità di ricapitalizzare e consolidare le banche, queste ultime siano riuscite ad ottenere un atteggiamento tollerante e cooperativo da parte dell’autorità di vigilanza che ha fatto prevalere l’interesse dell’industria finanziaria su quello dei risparmiatori. Sembra quindi essere in presenza di un tipico caso di “cattura” del vigilante.

Cosa fare per il futuro ?  Innazitutto bisogna ribadire, chiarire ed esplicitare i compiti della Consob a tutela degli interessi dei risparmiatori. Non servono divieti o nuove autorità, bensì una trasparenza il più possibile completa e comprensibile. Da questo punto di vista può essere opportuno stabilire per legge l’adozione degli scenari probabilistici da parte degli emittenti. Inoltre non sarebbe male attribuire alla Consob anche il potere di vigilare sulla trasparenza bancaria nella gestione dei mutui e dei depositi che, nonostante la lunga battaglia intrapresa tanti anni, lascia ancora molto a desiderare.

In ogni caso, non bisogna illudersi che una volta cambiate le norme, i problemi saranno risolti per sempre. La storia dei mercati finanziari degli ultimi due secoli ci dimostra che non è possibile, in quanto l’instabilità è connaturata al funzionamento del sistema. Inoltre, in un mondo globalizzato fare affidamento su autorità a dimensione nazionale, in presenza di normative e tradizioni di comportamento diverse, rappresenta un ostacolo e una difficoltà non indifferente.

 

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