Vi è un’ampia concordanza sul fatto che il sistema fiscale italiano necessiti di una revisione complessiva. Del resto sono passati oltre 20 anni dall’ultima riforma organica, quella Visco del 1996-2000, che a sua volta interveniva dopo più di 20 anni dalla riforma Cosciani-Visentini del 1973. I tempi sono quindi maturi.
Negli ultimi 20 anni, infatti, sono state introdotte sistematicamente norme e interventi settoriali, episodici, privi di coerenza e razionalità, prevedendo bonus, incentivi, detassazioni, aumenti e riduzioni di aliquote, esenzioni, regimi sostitutivi....venendo così meno ad ogni logica sistematica ed equitativa, e con grave pregiudizio per l’efficienza e l’efficacia del sistema.
Sembrano quindi necessari interventi a diversi livelli. In primo è il livello costituzionale.
La riforma dell’art. 53: Secondo gli studiosi di Scienza delle Finanze, ogni sistema fiscale dovrebbe basarsi su due criteri fondamentali: l’equità orizzontale, e l’equità verticale. L’art. 53 della Costituzione italiana recepisce il secondo principio, l’equità verticale, quando afferma che il sistema tributario “è informato a criteri di progressività”, ma ignora l’altro, l’equità orizzontale, del quale pure si era discusso in sede di Assemblea Costituente ( Scoca, DC). Andrebbe quindi aggiunto: “e di generalità e uniformità del prelievo”, in modo da rendere chiaro che eventuali abbattimenti, detrazioni, ecc. si giustificano solo se servono ad integrare la progressività o a promuovere la parità di trattamento tra i contribuenti, e che gli incentivi si possono utilizzare solo per finalità ben definite, meritevoli, e possibilmente temporanee.
L’evasione fiscale di massa è una delle caratteristiche negative del sistema fiscale italiano che ci differenzia dagli altri Paesi europei a noi confrontabili. E’ necessario un intervento deciso, una terapia d’urto che possa garantire la soluzione del problema in tempi ragionevoli. Infatti quando l’emergenza covid sarà superata ci troveremo con spese correnti necessariamente più elevate rispetto al passato in settori quali la sanità, l’istruzione, l’assistenza, i trasporti...Saranno quindi necessarie risorse aggiuntive. E se si vogliono avere margini per una riduzione di alcune imposte a beneficio dei ceti medi, il recupero dell’evasione diventerà indispensabile. In proposito rinviamo al documento allegato, tuttavia le misure più importanti e di potenziali efficacia sono le seguenti:
- Estensione e generalizzazione dell’obbligo di pagamento tracciato
- Introduzione dell’obbligo di effettuare una ritenuta d’acconto su tutte le transazioni (con
compensazione tra ritenute effettuate e subite) ad opera dell’intermediario che opera
l’accredito del pagamento.
- Eliminazione dell’evasione intermedia dell’Iva mediante modifiche al quadro normativo della
fatturazione elettronica e/o applicando un’aliquota unica sulle transazioni intermedie.
- Adozione del sistema del margine per l’Iva nel settore del commercio.
- Utilizzazione piena dei dati dell’anagrafe dei conti finanziari congiuntamente a quelli delle altre
banche dati disponibili (big data e intelligenza artificiale).
L’adozione delle misure indicate potrebbe ragionevolmente dimezzare l’evasione attuale nel tempo di una legislatura.
L‘Irpef: Fin dall’inizio (1973) l’Irpef non è stata un’imposta generale su tutti i redditi, bensì un’imposta progressiva su alcuni redditi. Queste caratteristiche si sono accentuate negli ultimi anni, con grave pregiudizio per i principi di equità orizzontale e verticale, alla neutralità del sistema fiscale e alla sua efficienza. Va quindi affrontato il problema di una tassazione per quanto possibile uniforme di tutti i redditi
percepiti dai contribuenti. Se non è possibile tornare al sistema ideale di imposta omnicomprensiva (mai realizzato in Italia), si possono percorrere due vie, alternative, ma equivalenti:
a) Trasformare l’Irpef in una imposta speciale sui soli redditi di lavoro (dipendente e autonomo compreso il contributo lavorativo degli imprenditori individuali), e affiancarla con un’imposta personale progressiva sui beni patrimoniali posseduti (mobiliari e immobiliari), al netto dei mutui e dei costi sostenuti, con una franchigia (250.000 euro in modo da escludere i contribuenti titolari di una ricchezza limitata), e un’aliquota massima dell’1% o poco più. Al tempo stesso andrebbero abolite tutte le imposte erariali che gravano sui patrimoni e sui redditi di capitale comprese le ritenute e l’IMU. L’operazione dovrebbe avvenire a parità di gettito.
b) Mantenere l’Imu (riformata) e l’imposta di bollo sulla ricchezza finanziaria, e prevendo un’unica aliquota (0,25-0,26%). Inserire in Irpef il reddito figurativo sia del patrimonio mobiliare che di quello immobiliare, con un credito di imposta (rimborsabile) pari al prelievo patrimoniale subito (da calcolare, per quanto riguarda l’Imu, sull’aliquota base) da far valere sul gettito complessivo. Questa proposta avrebbe il vantaggio di non interferire con l’attuale sistema di funzionamento della finanza locale. Anche in questo caso andrebbero soppresse le ritenute sui redditi di capitale e l0imposta di registro.
Irpef: la struttura delle aliquote: L’andamento delle aliquote di una imposta sul reddito determina il grado di progressività dell’imposta e i suoi effetti redistributivi. La progressività attuale dell’Irpef è apparentemente notevole, ma concentrata sui redditi bassi (per i quali l’andamento della curva appare quasi verticale), e molto meno sui redditi elevati. Ciò è dovuto all’appiattimento delle aliquote che si è verificato negli ultimi decenni passando dai 32 scaglioni del 1973 ai 5 (teorici) attuali. In conseguenza, rispetto al 1973, si è determinato un eccesso di tassazione in corrispondenza dei redditi medi, quelli compresi tra 20-25.000 euro e 50.000, insieme ad una riduzione per i redditi elevati. Inoltre l’andamento delle aliquote effettive, a causa delle detrazioni decrescenti, e degli 80-100 euro, appare erratico. Esistono aliquote e scaglioni impliciti, con intervalli in cui le aliquote marginali effettive si riducono anziché crescere, e con salti tra uno scaglione e l’altro di 14-15 punti. Ciò significa che una buona riforma dell’Irpef dovrebbe eliminare il forfait fino a 65.000 euro di fatturato per i lavoratori autonomi, ed essere in grado di riassorbire al suo interno il bonus 100 euro, e che le detrazioni dovrebbero tornare ad essere fisse, costanti per tutti i livelli di reddito, e dovrebbe tagliare la “gobba” che penalizza i redditi medi, raddrizzando alquanto la curva, cioè riducendo il prelievo sui redditi bassi e medi e aumentandolo su quelli più elevati.
Ciò può essere fatto utilizzando la seguente funzione matematica (relativa a un lavoratore dipendente tipo) che definisce l’aliquota media (tme):
aRb/(K+Rc)
dove a > 0 < 1; b > c > 1; K un livello di reddito prefissato. Per ciascun contribuente l’imposta è
Si può porre:
T =tmeR a = 0,092; b = 1,18; c = 1,05; K =28.000
Il vantaggio di una funzione continua rispetto al tradizionale sistema a scaglioni deriva dal fatto che essa, per ogni livello di reddito, individua l’aliquota media del contribuente e quindi il suo onere fiscale. Essa, quindi, risulta più trasparente e più semplice.
La funzione comporta la riduzione dell’imposta rispetto alla situazione attuale per circa il 99,6% dei contribuenti, la parità di gettito intorno ai 157.000 euro, e un aumento dell’aliquota media di un punto percentuale a 200.000 euro.
Tuttavia va considerato che riassorbire il bonus di 100 euro è un’operazione piuttosto complessa in quanto esso determina una discontinuità del tutto irrazionale nella struttura attuale dell’imposta. Esso infatti scatta quando l’Irpef diventa positiva mentre coloro che guadagnano meno ne sono privi, si determina così una improvvisa riduzione dell’incidenza della imposta. Ciò accade quando l’imponibile Irpef supera 8.146 euro. E’ quindi possibile che la detrazione di 1.600 euro non sia sufficiente ad evitare perdite di ammontare limitato (pochi euro al mese) per alcuni contribuenti. Queste perdite sarebbero comunque compensate da altre misure contenute nella presente proposta di riforma. Tuttavia, se si volessero evitare anche queste perdite sarebbe necessario aumentare la detrazione fissa da 1.600 euro a 1.800-2.000 euro, il che comporterebbe un aumento della perdita di gettito di 3-6 miliardi.
Va ancora chiarito che la nuova imposta prevede una detrazione rimborsabile del 25% per tutti i lavoratori dipendenti con redditi fino a 8.000 euro. Si avrebbe quindi una struttura simile a quella della earned income tax credit degli USA, con una prima fase in cui la detrazione sale fino per poi rimanere costante al livello stabilito.
Nel grafico si mettono a confronto le aliquote medie del sistema attuale (Irpef + bonus 100 euro) in blu, e della funzione continua con detrazione fissa pari a 1600 euro oltre i 15.000 euro per i lavoratori dipendenti (senza carichi familiari).
Il massimo guadagno in percentuale sul reddito si ha a 40.000 euro, e risulta di 2.245 euro (5,6%).
Le spese fiscali: Le agevolazioni tributarie sono numerosissime in Italia e in continua crescita. Esse, in base ai rapporti ufficiali, risultano più di 600, per una perdita di gettito di oltre 60 miliardi. Esiste una impressionante predisposizione a proporre ed approvare, per pure ragioni di consenso, agevolazioni di ogni tipo, relative a pressoché tutte le imposte esistenti, senza considerare il principio di eguaglianza nel trattamento tributario, gli effetti distorsivi sull’economia ecc. Si tratta di un settore la cui razionalizzazione può fornire un risparmio rilevante che andrebbe utilizzato per una ulteriore riduzione del prelievo per tutti i contribuenti Irpef, in modo da rendere evidente che alla penalizzazione di pochi corrisponde il vantaggio di molti. Oltre alla modifica dell’art. 53 della Costituzione, già richiamato, sarebbe utile intervenire secondo alcuni criteri:
- Mantenere le spese fiscali che rappresentano un elemento tecnico del sistema tributario.
- Mantenere le agevolazioni utili a meglio definire la base imponibile individuale ai fini dell’equità orizzontale (spese mediche, ecc.).
- Eliminare le agevolazioni poco costose e/o che coinvolgono pochi contribuenti.
- Per le agevolazioni con finalità di incentivo, bisogna evitare che diventino permanenti. Va
quindi verificato se gli obiettivi che si ponevano sono stati raggiunti, e se è il caso di confermarle o revocarle. Si potrebbe constatare che molte delle agevolazioni più costose potrebbero essere eliminate, con rilevanti benefici di gettito soprattutto per il futuro.
- Eliminare le agevolazioni con finalità simili che possono essere utilizzate in modo congiunto e cumulativo. Ciò riguarda soprattutto le agevolazioni a beneficio delle imprese, e a favore dei lavori immobiliari. L’eliminazione dovrebbe avere effetti solo per il futuro.
- Eliminare gradualmente le agevolazioni che risultano in contrasto con l’obiettivo di una economia eco-sostenibile.
- Stabilire un ammontare massimo di spese fiscali utilizzabili da ciascun contribuente, tenendo presente che la maggior parte di esse ha effetti regressivi non trascurabili.
- Sostituire almeno in parte gli incentivi fiscali con erogazioni dirette di spesa, in modo da rendere più trasparenti gli obiettivi e gli effetti delle misure. Del resto, la recente esperienza di erogazione dei ”ristori” per compensare gli effetti della pandemia, dimostra che esistono altri strumenti e modalità altrettanto efficaci per perseguire interventi di sostegno per obiettivi specifici.
L’imposta sul patrimonio: In ambedue le ipotesi (alternative) di imposizione patrimoniale prospettate, la valutazione degli immobili dovrà avvenire a valori prossimi a quelli di mercato e riguardare solo il patrimonio netto. A tal fine dovrà essere ricostruito il catasto. Tuttavia nel periodo transitario è possibile rivalutare le attuali rendite in base ai valori dell’Osservatorio sul mercato immobiliare che forniscono i prezzi effettivi di mercato per tipologia di immobile e zone omogenee, ricavati dalle vendite/acquisti che vengono effettuati sull’intero territorio nazionale, e che sono molto attendibili. Per ragioni di prudenza questi valori potranno essere ridotti di una percentuale del 5-10%. Va inoltre superata la distinzione tra prima casa e ulteriori abitazioni che non si giustifica dal punto di vista economico ed equitativo, introducendo invece un abbattimento tale da escludere dalla tassazione i patrimoni di minor valore.
Nel caso della prima ipotesi, una struttura delle aliquote che può assicurare la (sostanziale) parità di gettito con le imposte sostituite (Irpef, Irpeg, Imu, ritenute, bolli), circa 25 miliardi, potrebbe prevedere una franchigia di 250.000 euro, lo 0,6% fino a 1,5 milioni di patrimonio, e l’1% per i patrimoni più alti.
La seconda ipotesi mantiene l’Imu e l’imposta di bollo sui patrimoni mobiliari, e sopprime le ritenute sui redditi di capitale e (come anche nella prima ipotesi) l’imposta di registro. L’Imu dovrebbe essere calcolata ai valori di mercato, come indicato più sopra, e andrebbe prevista per i Comuni la possibilità di introdurre un minimo imponibile (che potrebbe variare entro certi limiti: per esempio, entro lo 0,13% del valore imponibile, con un minimo e un massimo). L’aliquota dovrebbe essere unica per ambedue le fattispecie e pari allo 0,25-0,26%.
Le modifiche proposte per l’Irpef e le imposte a base patrimoniale contribuirebbero ad accrescere in modo significativo gli effetti distributivi del nostro sistema fiscale.
Il sostegno ai carichi familiari: A integrazione della riforma dell’imposta personale, va completata quella relativa al sostegno dei carichi familiari. In proposito si tratta di completare la riforma relativa all’assegno unico prevedendo il superamento delle restanti detrazioni per carichi familiari. Per quelle relative a figli maggiorenni a carico, il tema più importante riguarda quelli impegnati ancora in percorsi di istruzione e formazione, a sostegno dei quali sarebbe più opportuno prevedere l’esonero dalle tasse universitarie e altri strumenti di diritto allo studio.
La finanza locale: Se si adotta la prima ipotesi di imposizione patrimoniale, il gettito complessivo dell’imposta dovrebbe essere ripartito tra Stato ed Enti locali in base alla quota del gettito complessivo attribuibile agli immobili e alla rilevanza della base immobiliare in ciascun comune.
Con la seconda soluzione L’attribuzione del gettito ai Comuni non cambierebbe, e andrebbe prevista anche la possibilità di variare l’aliquota base dell’imposta sul patrimonio fino allo 0,5%. L’eliminazione della distinzione tra prima e seconda casa è utile anche per eliminare il comportamento, molto diffuso, da parte dei Comuni di differenziare il prelievo tra residenti e non residenti a carico di questi ultimi (che non votano per il sindaco). Questi comportamenti andrebbero altresì vietati anche per quanto riguarda le tariffe idriche.
Le attuali addizionali comunali e regionali all’Irpef, dovrebbero essere trasformate in sovraimposte, in modo da evitare deformazioni sistematiche del grado di progressività dell’imposta sul reddito che deve essere eguale per tutti i contribuenti, indipendentemente dalle decisioni dei singoli Comuni circa il proprio prelievo, e va quindi fissato a livello centrale. La sovraimposta potrebbe arrivare fino al 10%.
La Tari andrebbe invece trasformata in un contributo ambientale in base alla quantità, peso, recuperabilità, riciclabilità dei rifiuti prodotti. Andrebbero introdotti incentivi per la raccolta differenziata e il conferimento dei rifiuti.
Registro e imposta di successione: L’imposta di registro andrebbe trasformata da imposta sul valore a prelievo fisso (sia pure di entità variabile a seconda della tipologia dei contratti), in modo da eliminare uno ostacolo rilevante alla circolazione dei beni.
Per l’imposta di successione gli attuali minimi imponibili andrebbero mantenuti, e si dovrebbe anzi incentivare la distribuzione del patrimonio anche a non familiari o enti, fondazioni, scuole, ospedali, università, musei, ecc. A tal fine le aliquote attuali dovrebbero diventare progressive partendo dal valore attuale, e aumentandolo per scaglioni fino a valori del 20 o più per cento. Si noti che in presenza di una imposta annuale personale, progressiva sul patrimonio, come quelle qui proposte, l’esigenza di un’imposta sul patrimonio molto incisiva si attenua considerevolmente.
La tassazione della imprese: Per quanto riguarda la tassazione delle imprese, gli studi di settore andrebbero definitivamente superati. L’uso di strumenti statistici, insieme a verifiche specifiche, andrebbe concentrato sulle attività che si svolgono nei confronti dei consumatori finali con l’obiettivo di disporre di valutazioni attendibili sui mark up utilizzati nelle singole attività.
A fini fiscali si possono individuare tre categorie di imprese: micro attività con fatturato ridotto che dovrebbero utilizzare una contabilità moto semplificata ed eventualmente il tutoraggio da parte della Amministrazione Finanziaria per risparmiare i costi delle consulenze. La tassazione forfettaria andrebbe abbandonata e sostituita con un meccanismo simile a quello dell’Iva in agricoltura che prevede aliquote di compensazione dell’iva riscossa che si trasformerebbe in un sussidio equivalente ad una forfettizzazione. Le imposte sui redditi si applicherebbero regolarmente, così come le regole della fatturazione elettronica.
Le imprese individuali e le società di persone di dimensioni maggiori dovrebbero tenere la contabilità ordinaria ed essere assoggettate all’Irpef. Per le società di capitali resterebbe l’Ires. Anche l’Ace dovrebbe essere mantenuta, eventualmente escludendo gli investimenti finanziari ed accentuando il beneficio per quelli ambientali o collegati alla ricerca e all’innovazione.
Tuttavia la modifica più rilevante nella tassazione delle grandi imprese deriverà dall’approvazione delle misure proposte dall’Ocse per l’imposizione delle multinazionali che hanno ottenuto anche l’appoggio degli Stati Uniti, e che l’Italia, come presidente del G-20, presumibilmente sosterrà con forza.
L’IVA: Il principale problema dell’Iva è l’evasione massiccia che è la premessa (logica e contabile) per l’evasione delle imposte sui redditi. Da questo punto di vista molto importante è il ricorso all’aliquota unica
per le transazioni intermedie, e l’adozione del sistema del margine per il commercio prima ricordati. Ma anche la struttura delle aliquote finali andrebbe rivista organizzandole accorpando le aliquote in base alla omogeneità dei prodotti, e riducendone il numero.
IL finanziamento del welfare: Tradizionalmente i sistemi fiscali dei Paesi sviluppati costruiti dopo la seconda guerra mondiale hanno fatto affidamento per il finanziamento dei sistemi di welfare soprattutto su prelievi sui redditi di lavoro: contributi e imposte sui redditi. Ciò era giustificato dal fatto che questi redditi rappresentavano ai tempi percentuali del reddito nazionale pari al 60-65%. Negli ultimi 30 anni la situazione è radicalmente cambiata: oggi la quota dei redditi di lavoro (dipendente e autonomo) è inferiore al 50%, e con lo sviluppo della robotizzazione della produzione e dell’intelligenza artificiale può calare ulteriormente. Ne è derivata una progressiva difficoltà di finanziamento dei sistemi previdenziali, sanitari e assistenziali, e la crescita del costo del lavoro e del cuneo fiscale. Oggi in Italia il prelievo contributivo e tributario sui redditi di lavoro è pari a 3 volte quello che subiscono gli altri redditi. Questa situazione tende a diventare insostenibile e va affrontata sostituendo l’irap e i contributi sociali con un prelievo proporzionale, generalizzato su tutti i redditi prodotti. Tra le proposte avanzate quella più convincente appare quella che prevede un prelievo sull’EBITDA, o MOL, e sui redditi di lavoro dipendente e autonomo applicato con la stessa aliquota per ritenuta alla fonte o in base a dichiarazione. La sostituzione tra contributi sociali e la nuova imposta potrebbe avvenire gradualmente. Il risultato sarebbe una forte riduzione del costo del lavoro e del cuneo fiscale, e una riduzione del prelievo sulle piccole imprese e il lavoro autonomo per i quali potrebbe essere gradualmente superato il ricorso ai minimali. Il gettito della imposta dovrebbe essere interamente destinato al finanziamento della sicurezza sociale che potrebbe così contare su una fonte di finanziamento non solo più ampia, ma anche stabile nel tempo.
Nel loro insieme le proposte contenute nel presente documento disegnano un sistema fiscale a prova di evasione, con un sostanziale recupero di gettito che potrebbe essere utilizzato anche per ridurre l’incidenza delle imposte più importanti; un sistema basato su tre imposte principali a larga base, due progressive (sul reddito e sul patrimonio), una proporzionale: l’imposta per il welfare; oltre all’Iva ridisegnata, e alle altre imposte minori. Il sistema avrebbe effetti redistributivi e perequativi ben più elevati di quello attuale, e effetti incentivanti delle attività economiche.
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