LA FASE 2 E IL PROBLEMA DEGLI ANZIANI La "valutazione economica" delle persone meno giovani

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Maggio 2020

Come ci si attendeva, il passaggio alla cosiddetta fase 2 ha innescato discussioni e polemiche, spesso strumentali, ma giustificate in base a diverse (e legittime) prospettive, che a loro volta esprimono l’inevitabile trade off tra tutela della salute ed esigenze dell’economia. Si tratta di “mediare” tra il benessere fisico e quello economico dei cittadini contemperando esigenze di contenimento e spinte alla riapertura. La sicurezza sanitaria richiederebbe che prima di ripartire, i rischi di contagio fossero azzerati, mentre l’economia non può resistere oltre un certo periodo di lockdown. E in proposito si sono manifestate posizioni diverse. Per Renzi il limite alla riapertura delle attività dovrebbe essere rappresentato dalla capienza massima dei posti in terapia intensiva disponibili. Per il Governo l’obiettivo deve invece essere quello di mantenere l’indice Rt al di sotto di 1. Personalmente ritengo cinica la prima posizione e corretta la seconda, ma il dibattito è legittimo in un sistema economico fragile, articolato, interconnesso e complesso come quello che caratterizza i Paesi economicamente avanzati. La stessa questione si pone, in modo ben più tragico, per il trattamento degli anziani.

 
Ha fatto molto discutere un articolo dell’Economist in cui si spiegava come il valore economico della vita di un anziano è molto inferiore a quella di un adulto (e, si potrebbe aggiungere, anche a quella di un neonato) per il semplice motivo che l’anziano (come il neonato) ha capacità produttive assenti o inferiori a quelle dei giovani adulti. Analogamente ha destato sconcerto il fatto che in Olanda (la perfida Olanda) gli anziani siano stati invitati a rinunciare al ricovero in ospedale in caso di contagio, a favore dei più giovani. E in verità sembra che un protocollo del genere esista da sempre anche nel Regno Unito. Anche in Italia i nostri medici hanno confermato che di fronte ai posti limitati in terapia intensiva, si tende (ovviamente!) a privilegiare il salvataggio del giovane (e sano) che dell’anziano (eventualmente anche malato).
 
Il fatto è che nelle nostre economie le valutazioni economiche tendono ad avere la prevalenza in modo esplicito (nei Paesi con maggiore cultura e tradizione specifica) o implicito. Del resto è ben noto agli esperti di analisi costi-benefici, o agli assicuratori, che il valore economico di giovani e anziani è diverso: se si desidera massimizzare l’efficienza economica della società la conclusione è inevitabile. E il fatto che nelle nostre società gli anziani vengano considerati un peso, un costo per la collettività è dimostrato dal fatto che tendiamo a isolarli e recluderli in apposite strutture separate che spesso sono veri e propri ghetti, in attesa della morte. Diverse erano le valutazioni in società con modi di produzione diversi, o in contesti sociali meno parcellizzati, in cui l’anziano rappresentava una ricchezza e un valore in sé. Ma c’è poco da fare: è il capitalismo, bellezza! E noi possiamo farci molto poco. Ma per lo meno proviamo a rifletterci.

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