Con le banche dati si potrebbero scovare gli evasori ma il “concordato preventivo” congela l’esistente

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Marzo 2023

I media hanno dato ampio rilievo ai “successi” dell’agenzia delle Entrate nella lotta all’evasione nel 2022, anno in cui si sarebbero recuperati ben 20 miliardi di gettito evaso. Molti commentatori hanno sottolineato che l’Agenzia sarebbe in grado, grazie alle banche dati di cui dispone, di portare avanti il contrasto all’evasione e il recupero di gettito, come peraltro il Governo sostiene nella delega fiscale appena presentata. Vediamo di fare chiarezza. Innanzitutto, i 20 miliardi non sono il frutto di attività investigative dell’amministrazione, né di accertamenti, bensì della contestazione ai contribuenti di irregolarità contabili e omessi versamenti, soprattutto liquidazioni periodiche Iva non effettuate, a fronte delle quali sono state inviate lettere di sollecito le cui richieste sono state in buona parte esaudite. Ottima e commendevole attività, ma che rappresenta piuttosto un lavoro di routine fatto dai calcolatori che un’attività di accertamento che invece rimane carente e continua a ridursi progressivamente. I 20 miliardi, inoltre, riflettono il “rimbalzo” di controlli effettuati dopo un paio d’anni di stasi per il Covid. In altre parole, l’amministrazione è intervenuta utilizzando le banche dati in riferimento ad elementi puntuali (e minori) di inadempienza dei contribuenti, e non in seguito ad analisi indiziarie analitiche sui comportamenti effettivi di evasione, analisi che sarebbero esse sì decisive, e che andrebbero compiute incrociando tutte le informazioni contenute nelle banche dati disponibili mediante programmi di intelligenza artificiale in grado di seguire le singole categorie di contribuenti nei loro comportamenti.

 
Non mi stancherò mai di ricordare che, in base alle statistiche ufficiali disponibili, i lavoratori indipendenti e le piccole imprese evadono in media tra il 65 e il 70% dei redditi che dovrebbero dichiarare, quindi il tracciamento sistematico attraverso le informazioni disponibili nelle banche dati consentirebbe di ottenere informazioni non contestabili sulla situazione economica effettiva dei cittadini coinvolti, che potrebbero essere invitati a pagare quanto risulterebbe dalle indagini, vale a dire, spesso, il doppio o il triplo di quanto dichiarato e versato. L’intera attività dell’amministrazione dovrebbe essere riorganizzata e finalizzata alle nuove procedure, e in pochi anni il problema dell’evasione potrebbe essere risolto. E’ questo che si sta facendo? La risposta è negativa. E’ questo che è scritto nella delega fiscale? La risposta è più complessa perché da un lato il ricorso alle banche dati è evocato e teorizzato, ma dall’altro c’è l’impegno ad introdurre il concordato preventivo, che non può che partire dalle dichiarazioni presentate dai contribuenti e quindi da livelli di imponibile dichiarato di gran lunga inferiori a quelli reali, consolidando e legittimando così l’esistente. Si tenga presente, inoltre, che i destinatari degli interventi dovrebbero essere proprio le categorie di cui maggiormente i partiti di maggioranza hanno richiesto (e ottenuto) il consenso elettorale, e quindi si può essere alquanto scettici sulla volontà effettiva di essere molto incisivi nei loro confronti. Rimane il rammarico per la superficialità (se non la condiscendenza) con cui la stampa esamina questioni di grande rilievo e importanza.
 

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